lunedì 5 dicembre 2016

A colloquio con… Annalisa Stroppa

Ai giovani che decidono di intraprendere questa professione consiglio di crederci fortemente e di non lasciarsi mai abbattere perché prima o poi l’occasione giusta arriva. Non esiste una ricetta valida per tutti perché l’andamento di una carriera varia da persona a persona e dipende da tante componenti, anche esterne. Se dovessi, però, indicare gli ingredienti essenziali li riassumerei così: passione, studio, costanza, determinazione, esperienza e umiltà

Annalisa Stroppa nei panni di Suzuki, 
Teatro alla Scala 2016
(Foto di Marco Brescia & Rudy Amisano)
«Ritornare sul palcoscenico del Teatro alla Scala per l’inaugurazione della stagione mi rende molto emozionata: è una sensazione indescrivibile, di quelle che si ricordano per tutta la vita. Sono profondamente grata a coloro che mi hanno scelta e al Maestro Chailly per avermi dato questa grande opportunità. Essere diretta da lui è un privilegio. Sto affrontando quest’impegno con molta serietà, rispetto e responsabilità ma anche con grande entusiasmo. Vivo appieno questa meravigliosa occasione artistica facendo tesoro del lavoro di ogni giorno. Il periodo di prove è stato molto impegnativo ma ora ci siamo quasi: la Prima è vicina! Poter lavorare con il Maestro Riccardo Chailly e con il regista Alvis Hermanis è per me un grande onore: attraverso la loro lettura attenta e approfondita il mio personaggio ha preso forma musicalmente e drammaturgicamente e si è arricchito di spessore e sentimento. Inoltre, ho condiviso questo bellissimo periodo con degli ottimi colleghi con i quali si è creata una reciproca intesa e una bella armonia».


(Foto di Silvia Lelli)
Nella scorsa Stagione Annalisa Stroppa aveva calcato, per la prima volta, il palcoscenico del Teatro alla Scala interpretando Emilia nell’Otello di Rossini e, successivamente, vi era ritornata per interpretare Maddalena nel Rigoletto. Il mezzosoprano confessa di aver sempre seguito, con grande interesse, la diretta televisiva dell’inaugurazione scaligera ma di non avere mai neppure immaginato che un giorno sarebbe stata tra i protagonisti dell’evento. Un’occasione davvero speciale, quindi, questo terzo ritorno al Piermarini che vedrà la Stroppa nel ruolo di Suzuki in Madama Butterfly.

«Suzuki è un personaggio umanamente presente e molto positivo, tenero e contraddistinto da una grande sensibilità, è l'unica persona che comprende  veramente Butterfly e le sta accanto fino alla fine. Sono proprio questi gli aspetti del personaggio che cerco di sottolineare e valorizzare: amo la sua empatia e la sua grande sensibilità. Suzuki, con la sua presenza discreta, vuol proteggere Butterfly, cercando di non urtare la sua fragilità, restandole sempre accanto con grande affetto e partecipando profondamente al suo dolore e alla sua sofferenza. Inevitabilmente sul palcoscenico faccio mie queste emozioni ed entro talmente nel personaggio da commuovermi sempre. Impossibile, del resto, non essere colpiti di fronte a un capolavoro di cotanta bellezza e profonda umanità. Tocca a una a una tutte le corde dell’anima!»


Suzuki, Parigi
(© C. Leiber - OnP)
Le chiedo di anticipare qualcosa sulla produzione che andrà scena tra due giorni. «Sarà meravigliosa! Musicalmente abbiamo la direzione del più grande direttore d’orchestra pucciniano di tutti i tempi, il maestro Chailly, che sa valorizzare ogni singola nota scritta dall’autore. La musica si sposa meravigliosamente a un’azione scenica interpretativamente molto interiore e profonda; il regista Alvis Hermanis propone una regia molto descrittiva e realistica che si riallaccia, per quanto riguarda la gestualità, al teatro kabuki. Per non parlare della bellezza dei costumi, dell’impianto scenico e delle proiezioni che si rifanno alla pittura classica nipponica e trasportano lo spettatore direttamente in Giappone. Sono sicura che ne rimarrete affascinati»

Annalisa Stroppa aveva debuttato il ruolo di Suzuki, un anno fa: «Ho debuttato Suzuki la scorsa stagione all'Opéra Bastille di Parigi nella versione tradizionale dell’opera mentre qui a Milano metteremo in scena la prima versione del 1904. Questo implica alcune differenze: vedremo personaggi non presenti nella versione in tre atti e scene aggiuntive che poi sono state riviste e modificate da Puccini stesso. Preferisco, però, non anticipare altri particolari».

Non resta, dunque, che attendere il 7 dicembre! Nel frattempo, approfitto dell’occasione per ripercorrere con Annalisa Stroppa le tappe di una carriera straordinaria, ricca di emozioni, entusiasmo, impegno e sacrifici.


Un momento importante della tua carriera è stato il debutto a Salisburgo nel ruolo di Cherubino ne I due Figaro di Mercadante. «Serbo un bellissimo ricordo di quell’esperienza: è stato il mio primo debutto internazionale in un ruolo importante, in un teatro importante e con un maestro d’eccezione, Riccardo Muti. In quel contesto ho imparato davvero moltissimo»

C’è qualche altro momento della tua carriera che ricordi con particolare emozione? Si, la prima volta che ho visto i miei genitori seduti in platea ad ascoltarmi. È emozionante averli li con me a condividere la mia gioia perché è una conquista che abbiamo fatto insieme.



Quale repertorio ami di più, senti più congeniale a te? In questo momento mi trovo a mio agio nei ruoli del belcanto e nel repertorio francese. Ho interpretato soprattutto Mozart, Rossini, Bellini, Bizet e Berlioz. Questi autori finora hanno plasmato la mia voce. Naturalmente la voce evolve nel tempo, con l'età; non cantiamo solo con le corde vocali ma con tutto il corpo e quindi la maturazione fisica ci porta anche a un’evoluzione vocale nel corso del tempo. Vedremo il futuro in che direzione mi porterà. 

C’è un ruolo che ami particolarmente? È difficile scegliere, ma se dovessi citarne alcuni in questo momento direi quattro personaggi molto diversi tra loro ma nei quelli posso esprimere parti di me sia dal punto di vista vocale che interpretativo: Rosina,  Adalgisa, Romeo e Carmen.

C’è un ruolo che non hai ancora interpretato e che ameresti debuttare? Mi piacerebbe interpretare Leonora ne La Favorita e Charlotte nel Werther.

Prima di entrare in scena c’è più adrenalina o paura? Tanta adrenalina ed emozione!

Come si svolge una tua giornata “tipica” quando non sei in tournée? Quando non sono impegnata nelle produzioni devo studiare e prepararmi per i ruoli che dovrò eseguire subito dopo: ne approfitto per trascorrere il tempo con le persone a me care e riposare.


E quando, invece, sei impegnata in una produzione? Quando sei impegnato in una produzione i ritmi della giornata non li puoi decidere tu, sono scanditi dalle prove e il tempo libero, purtroppo, non è molto. Nei giorni di pausa cerco, comunque, di godere delle bellezze della città in cui mi trovo!


Quante ore al giorno dedichi allo studio? In generale dedico molto tempo allo studio. Questo non significa solo cantare in voce per ore ma anche pensare, riflettere, approfondire la conoscenza di uno spartito, leggere il libretto, la novella a cui si ispira, documentarsi sull’idea che il compositore aveva quando ha scritto l’opera, sul contesto storico: cercare, insomma, la maggior parte di informazioni possibili per addentrarsi nel personaggio per poterlo interpretare nella maniera più scrupolosa e personale possibile. Per quanto riguarda le ore di studio vocale, cerco di fare vocalizzi ogni giorno; infatti, noi siamo “atleti” e come tutti i muscoli anche le corde vocali vanno allenate. Quando preparo un ruolo o lo riprendo dopo tanto tempo il ruolo va, come si dice, “messo in gola” con precisione, nota per nota in ogni passaggio per trovare la modalità più confortevole per affrontarlo. Non saprei quantificare esattamente, dipende: sappiamo, però, che la voce ha anche bisogno di riposo e dopo periodi di grande lavoro è importantissimo anche il riposo e il silenzio. I grandi interpreti del passato attendevano mesi prima di passare da un ruolo all’altro e questo era molto salutare per la voce. Bisognerebbe far tesoro di questi esempi anche se al giorno d’oggi i ritmi di lavoro spesso purtroppo non lo permettono. Bisogna prendersi cura della propria voce.

Come affronti le difficoltà legate alla carriera di un’artista? Quali sono per te le maggiori difficoltà? E cosa, invece, ami di più di questa professione? La difficoltà principale è la lontananza dai propri affetti e, conseguentemente, l’impossibilità di curare personalmente i propri rapporti familiari, sentimentali e di amicizia. Sono, però, convinta di una cosa: chi ti ama ti sostiene e ti capisce e la sua presenza si avverte anche da lontano annullando ogni distanza. In questo senso sono molto fortunata: ho accanto persone meravigliose che sin da quando ho iniziato questo percorso non mi hanno mai fatto mancare affetto e sostegno. Adoro questo mestiere, cantare non è solo una professione ma è proprio parte di me, coinvolge la mia vita a 360 gradi. È ciò a cui ambivo sin da piccola ed è meraviglioso aver potuto realizzare il mio sogno. Non potevo immaginarlo perché non si può capire una cosa finché non la si vive in prima persona. Nonostante le varie difficoltà, quando sali sul palcoscenico e sai di aver fatto del tuo meglio, l'applauso del pubblico ti ripaga di ogni sacrificio. Mi ritengo veramente molto fortunata: sono riuscita a fare della mia passione il mio lavoro! Ringrazio il cielo per questo. Il Signore mi ha dato un dono e mi ha indicato la strada per portarlo avanti! Mi sento realizzata, sono molto felice e spero di poter andare avanti così.



Il tuo approccio alla musica è avvenuto grazie al pianoforte. Come mai? Quanto e in che modo ti è tornato utile lo studio del pianoforte? Come ti sei avvicinata, invece, al canto? La passione per il canto lirico è nata fin da bambina. Nonostante in famiglia non ci fossero altri musicisti o cantanti, la musica, di ogni tipo, accompagnava le mie giornate sin da piccola. Ho iniziato ad avvicinarmi alla lirica grazie ai miei nonni materni con i quali trascorrevo gran parte dei pomeriggi dopo la scuola: loro ascoltavano i tre tenori, Pavarotti, Domingo, Carreras e Mario del Monaco. (Ebbene si, tutti tenori!) Grazie a loro, ho iniziato a scoprire le grandi arie d'opera e cercavo di imitare i cantanti. Ho scoperto, così, di avere una voce importante, che aveva anche la mia nonna paterna, la quale tuttavia non ha mai potuto coltivare il suo talento; da qui sono nate la passione e la volontà di cantare. Avevo già le idee chiare: da grande avrei voluto fare la cantante! Ricordo che all'età di 8-9 anni cantavo "Nessun dorma", “O sole mio", "Parlami d'amore Mariù", "Un amore così grande", durante i banchetti di famiglia. Scoprivo che la natura era stata generosa con me e mi aveva donato una voce speciale, trovavo dentro di me un tesoro che, però, non dovevo rovinare ma imparare a utilizzare nel migliore dei modi. Mi venne detto che per studiare canto era ancora troppo presto, la voce non era ancora completamente mutata. Ho iniziato, quindi, a studiare la musica; successivamente sono stata ammessa nella classe di pianoforte in Conservatorio e nel contempo ho frequentato anche il Liceo Socio Psico Pedagogico. Verso i 20 anni la voce era finalmente pronta e matura per affrontare lo studio del canto; inoltre, avevo alle spalle una buona base musicale sulla quale appoggiarmi. Iniziai così a studiare canto, sempre al Conservatorio di Brescia: contemporaneamente preparavo gli esami in Università e nello stesso tempo, avendo ottenuto l’abilitazione, insegnavo part-time in una scuola primaria. Quando ci ripenso non so come ho fatto, credo sia stata una grande forza di volontà a darmi l'energia per affrontare tutto. Ho sempre avuto l'esempio nella mia famiglia del lavoro e del sacrificio per conquistare ciò che si desidera e con questo esempio sono crescita. Nonostante  la fatica amavo tutto ciò che facevo, l'insegnamento ai bambini, i miei studi all'università e soprattutto cantare.

Ti sei laureata anche in Scienze dell’Educazione: perché mai hai deciso di intraprendere questa facoltà? Ho deciso di intraprendere gli studi Universitari in Scienze dell’Educazione perché mi è sempre piaciuto lavorare nel sociale: se non avessi avuto la fortuna di fare la cantante avrei scelto la strada dell’insegnamento oppure avrei fatto l’educatrice, a contatto con persone diversamente abili. Avrei potuto lavorare come educatrice sociale in diversi contesti: ospedali, case di riposo, strutture per disabili o carceri. La mia tesi di laurea si intitolava “Bambini senza sbarre”: con l’appoggio del mio meraviglioso relatore in Università ho affrontato il tema dei bambini reclusi da 0 a 3 anni che vivono nella sezione del carcere con la madre detenuta e delle inevitabili carenze nel loro sviluppo. Avevo fatto uno studio frequentando la sezione nido del carcere San Vittore proprio qui a Milano: un’esperienza meravigliosa che mi ha arricchita moltissimo. A volte non possiamo nemmeno immaginare quali realtà ci siano perché sono lontane da noi. Fortunatamente negli anni la situazione di questi bambini è un po’ migliorata. 

Quando hai capito che il canto sarebbe diventato la tua “vita”?Quando ho iniziato ad ottenere i primi risultati e ad avere i primi riscontri positivi.



C’è stata qualche figura di riferimento particolarmente importante nel tuo percorso? Assolutamente si: innanzi tutto, la mia insegnante e poi tutte le persone che incontro ogni volta nelle produzioni. Cerco sempre di “attingere” da direttori, registi e colleghi tutto ciò che di positivo posso portare con me e che mi possa arricchire sia umanamente che professionalmente.

Hai vinto diversi concorsi internazionali: quanto ritieni importanti i concorsi in un percorso musicale? Li ritengo importanti ma bisogna parteciparvi con lo spirito giusto e non lasciarsi abbattere se non vanno come avremmo sperato: sono occasioni per ognuno di misurarsi con se stessi e con le proprie capacità e rappresentano anche un momento di incontro, di apertura e di confronto positivo con altri giovani cantanti. Ho partecipato ai concorsi già durante gli ultimi anni del Conservatorio, nazionali prima del diploma e internazionali subito dopo. Partecipavo ai concorsi per misurare le mie potenzialità e vedere se veramente quella del canto sarebbe potuta essere la mia strada e avrei potuto intraprendere questa carriera, perché si sa che, soprattutto al giorno d'oggi, è molto difficile. Inoltre, in occasione dei concorsi ho avuto la possibilità di farmi ascoltare da grandi cantanti e da direttori artistici che costituivano le giurie. Vedendo che i primi concorsi andavano bene e ottenevo sempre dei buoni risultati, ricevevo quelle conferme che cercavo e che mi davano l'input per crederci davvero e proseguire in questa strada. Ho iniziato a eseguire recital di canto da camera, poi piccoli ruoli d'opera e via via ruoli sempre più importanti in contesti sempre più grandi.



Che consigli daresti a chi decide di intraprendere questa professione? Ai giovani che decidono di intraprendere questa professione consiglio di crederci fortemente e di non lasciarsi mai abbattere perché prima o poi l’occasione giusta arriva. Non esiste una ricetta valida per tutti perché l’andamento di una carriera varia da persona a persona e dipende da tante componenti, anche esterne. Se dovessi, però, indicare gli ingredienti essenziali li riassumerei così: passione, studio, costanza, determinazione, esperienza e umiltà. Innanzi tutto la passione che è il motore, è ciò che ti motiva e ti dà l’energia e l’entusiasmo necessari per cantare. Guai se non ci fosse! Tutto si ridurrebbe a un semplice lavoro. Nel canto non possono mancare le emozioni e per trasmetterle agli altri bisogna prima emozionare se stessi ed essere consapevoli che ogni volta che si sale sul palcoscenico è un momento speciale. Mi ritengo molto fortunata: il mio non è un semplice lavoro ma coincide anche con la mia passione. È questo che rende speciale ogni nota che canto. Un altro ingrediente fondamentale è una buona preparazione di base perché, per costruire un percorso solido, bisogna prima di tutto essere preparati, aver studiato, conoscere bene il linguaggio musicale e conoscere il proprio strumento in modo approfondito: non si finisce mai di studiare. Oltre a una buona dose di fortuna, ci vuole molta costanza e determinazione e bisogna credere fortemente in sé stessi senza abbattersi di fronte alle difficoltà che s’incontrano. Infine, penso sia fondamentale fare tesoro di ogni esperienza che si fa in palcoscenico: in scena capisci molte cose, prende forma il personaggio che interpreti e impari a dosare le tue forze, le tue energie. È un continuo misurarsi con se stessi, con i propri limiti e le proprie possibilità. Forse il segreto è proprio questo: essere umili e non sentirsi mai arrivati. 


Adriana Benignetti