giovedì 21 luglio 2011

Il “Testamento di Heiligenstadt”

Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770-Vienna, 1827)

Vieni dunque, Morte!

(Foto: lvbeethoven.it)

A Caspar Anton Carl e [Nikolaus Johann] van Beethoven
                                                                                       Heiligenstadt, 6 ottobre 1802
Per i miei fratelli Carl e [Johann] Beethoven
O voi uomini che mi reputate o definite astioso, scontroso o addirittura misantropo, come mi fate torto ! Voi non conoscete la causa segreta di ciò che mi fa apparire a voi così. Il mio cuore e il mio animo fin dall’infanzia erano inclini al delicato sentimento di benevolenza e sono stato sempre disposto a compiere azioni generose.



Considerate, però, che da sei anni mi ha colpito un grave malanno peggiorato per colpa di medici incompetenti. Di anno in anno le mie speranze di guarire sono state gradualmente frustrate, e alla fine sono stato costretto ad accettare la prospettiva di una malattia cronica (la cui guarigione richiederà forse degli anni o sarà del tutto impossibile). Pur essendo dotato di un temperamento ardente, vivace, e anzi sensibile alle attrattive della società, sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. E se talvolta ho deciso di non dare peso alla mia infermità, ahimè, con quanta crudeltà sono stato allora ricacciato indietro dalla triste, rinnovata esperienza delle debolezza del mio udito. Tuttavia non mi riusciva di dire alla gente: «Parlate più forte, gridate perché sono sordo». Come potevo, ahimè, confessare la debolezza di un senso, che in me dovrebbe essere più raffinato che negli altri uomini e che in me un tempo raggiungeva un grado di perfezione massima, un grado tale di perfezione quale pochi nella mia professione sicuramente posseggono, o hanno mai posseduto. – No, non posso farlo; perdonatemi perciò se talora mi vedrete stare in disparte dalla vostra compagnia, che un tempo invece mi era caro ricercare. La mia sventura mi fa doppiamente soffrire perché mi porta a essere frainteso. Per me non può esservi sollievo nella compagnia degli uomini, non possono esservi conversazioni elevate, né confidenze reciproche. Costretto a vivere completamente solo, posso entrare furtivamente in società solo quando lo richiedono le necessità più impellenti; debbo vivere come un proscritto. Se sto in compagnia vengo sopraffatto da un’ansietà cocente, dalla paura di correre il rischio che si noti il mio stato. – E così è stato anche in questi sei mesi che ho trascorso in campagna. Invitandomi a risparmiare il più possibile il mio udito, quell’assennata persona del mio medico ha più o meno incoraggiato la mia attuale disposizione naturale, sebbene talvolta, sedotto dal desiderio di compagnia, mi sia lasciato tentare a ricercarla. Ma quale umiliazione ho provato quando qualcuno, vicino a me, udiva il suono di un flauto in lontananza e io non udivo niente, o udiva il canto di un pastore e ancora io nulla udivo. – Tali esperienze mi hanno portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita. – La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto. Ah, mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo, prima di aver creato tutte quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre; e così ho trascinato avanti questa misera esistenza – davvero misera, dal momento che il mio fisico tanto sensibile può, da un istante all’altro precipitarmi dalle migliori condizioni di spirito nella più angosciosa disperazione. – Pazienza – mi dicono che questa è la virtù che adesso debbo scegliermi come guida; e adesso io la posseggo. – Duratura deve essere, io spero, la mia risoluzione di resistere fino alla fine, finché alle Parche inesorabili piacerà spezzare il filo; forse il mio stato migliorerà, forse no, a ogni modo io, ora, sono rassegnato. – Essere costretti a diventare filosofi ad appena 28 anni non è davvero una cosa facile e per l’artista è più difficile che per chiunque altro. – Dio Onnipotente, che mi guardi fino in fondo all’anima, che vedi nel mio cuore e sai che esso è colmo di amore per l’umanità e del desiderio di bene operare. O uomini, se un giorno leggerete queste mie parole, ricordate che mi avete fatto torto; e l’infelice tragga conforto dal pensiero di aver trovato un altro infelice che, nonostante tutti gli ostacoli imposti dalla natura, ha fatto quanto era in suo potere per elevarsi al rango degli artisti nobili e degli uomini degni. – E voi fratelli miei, Carl e [Johann], dopo la mia morte, se il professore Schmidt sarà ancora in vita, pregatelo a mio nome di fare una descrizione della mia infermità e allegate al suo documento questo mio scritto, in modo che, almeno dopo la mia morte, il mondo e io possiamo riconciliarci, per quanto è possibile. – Nello stesso tempo vi dichiaro qui tutti e due eredi del mio piccolo patrimonio (se posso chiamarlo così). – Dividetelo giustamente, andate d’accordo e aiutatevi reciprocamente. Il male che mi avete fatto, voi lo sapete, vi è stato perdonato da lungo tempo. Ringrazio ancora in maniera particolare te, fratello Carlo, per l’affetto che mi hai dimostrato in questi ultimi anni. Il mio augurio è che la vostra vita sia più serena e più scevra da preoccupazioni della mia. Raccomandate ai vostri figli di essere virtuosi; perché soltanto la virtù può rendere felici, non certo il denaro. Parlo per esperienza. È stata la virtù che mi ha sostenuto nella sofferenza. Io debbo a essa, oltre che alla mia arte, se non ho messo fine alla mia vita col suicidio. – State bene e amatevi. – Ringrazio tutti i miei amici, in particolare il principe Lichnowsky e il professor Schmidt. Vorrei che gli strumenti del principe L[ichnowsky] venissero custoditi da uno di voi, purché ciò non conduca a un litigio fra voi. Qualora essi possano servire a uno scopo più proficuo, vendeteli pure; quanto sarò lieto, se potrò esservi utile anche nella tomba. – Ebbene, questo è tutto. – Con gioia vado incontro alla Morte – se essa venisse prima che io abbia avuto la possibilità di sviluppare tutte le mie qualità artistiche, allora, malgrado la durezza del mio destino, giungerebbe troppo presto; e indubbiamente mi piacerebbe ritardarne la venuta. – Sarei però contento anche così; non mi libererebbe essa forse da uno stato di sofferenze senza fine? Vieni dunque, Morte, quando tu vuoi, io ti verrò incontro coraggiosamente. – Addio, non dimenticatemi del tutto, dopo la mia morte. Io merito di essere ricordato da voi, perché nella mia vita ho spesso pensato a voi, e ho cercato di rendervi felici. – Siate felici. –

                 
                                                                      LUDWIG VAN BEETHOVEN

Per i miei fratelli Carlo e [Johann]
Da leggere ed eseguire dopo la mia morte
                                                                                              Heiligenstadt, 10 ottobre 1802

Così prendo commiato da voi – e per di più con tanta tristezza – sì, la speranza che ho nutrito – la speranza che ho portato con me qui, di guarire almeno in parte – quella speranza ormai la devo completamente abbandonare. Come d’autunno le foglie cadono e appassiscono – così quella speranza è per me ormai del tutto inaridita. Parto da qui – quasi nelle stesse condizioni in cui ero arrivato. – Anche il grande coraggio – che spesso mi animava nelle belle giornate d’estate – è ormai svanito. – O provvidenza – concedimi ancora un giorno di pura gioia. – Da tanto tempo ormai non conosco più l’intima eco della vera gioia. – Oh, quando – quando, Dio Onnipotente – potrò sentire di nuovo questa eco nel tempio della Natura e nel contatto con l’umanità. – Mai? – No! – Oh, questo sarebbe troppo crudele.

(da Beethoven, Autobiografia di un genio. Lettere, pensieri, diari, a cura di Michele Porzio, Oscar Classici Mondadori, Milano 1996,  pp. 44-48)

Adriana Benignetti