sabato 13 ottobre 2012

Sciortino, Castelnuovo-Tedesco, Brahms: un viaggio a ritroso nella storia della musica

V appuntamento della Stagione 2012/2013 dell’Orchestra Sinfonica Verdi di Milano


È un viaggio musicale a ritroso nel tempo quello presentato, giovedì 11 ottobre 2012, all’Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, come V appuntamento della Stagione Sinfonica 2012/2013: Sciortino, Castelnuovo-Tedesco, Brahms. Un accostamento interessante, quasi a scandire l’oggi, l’ieri e l’altro ieri in musica.


Si comincia con la prima esecuzione assoluta di Träume (Trauer) Stimmen, brano del 2012 del giovanissimo compositore e pianista Orazio Sciortino (Siracusa, 1984). È un movimento unico, un grande accelerando che in pochi minuti (10) racconta l’esperienza del sogno, rivelatrice della complessità del nostro essere. Sogno (lutto) voci, un titolo che esplica già il contenuto: una trama compositiva densa di stratificazioni timbriche, ritmiche ed espressive che si sovrappongono e si contrastano, allo stesso tempo. Voci che emergono improvvise e poi spariscono lasciando traccia di sé: voci che ritornano assumendo colore e significato differente. Una grande parabola che bene descrive quel momento così intimo e di totale abbandono che è la dimensione onirica, nella quale sogni e ricordi, speranze e ferite, gioie e dolori si incontrano e si scontrano rivelandoci il nostro io più profondo e complesso. Un brano descritto dallo stesso compositore – che, presente in sala, ha ricevuto applausi e apprezzamento del pubblico – ottimamente nella conferenza di presentazione del concerto, rivelando, oltretutto, grande spessore intellettuale e notevoli capacità oratorie.

Dal 2012 si passa al 1931-32, anni di composizione del Concerto n. 2 per violino e orchestra op. 66 “I Profeti”, di Mario Castelnuovo-Tedesco, compositore (ahimè!) ancora sconosciuto a gran parte del pubblico italiano. Allievo prediletto di Ildebrando Pizzetti per la composizione e di Edgardo Del Valle de Paz per il pianoforte, Mario Castelnuovo-Tedesco (Firenze 1895 – Los Angeles, 1968), occupò un posto di grande rilievo sulla scena musicale internazionale come compositore, pianista e critico musicale nel primo Novecento. Costretto, a causa delle leggi razziali (proveniva da una famiglia di banchieri ebrei), a espatriare in America nel 1939 (dove si dedicò anche alla composizione di colonne sonore), Castelnuovo-Tedesco fu molto amato da grandissimi interpreti come Toscanini, Pjatigorskij, Barbirolli e Heifetz. E proprio per il grande violinista (e con il suo contributo diretto) fu scritto questo concerto “il più ambizioso dei miei progetti” come lo definì lui stesso. Un brano che mette in luce l’elemento ebraico e che fu scritto dal compositore proprio come “un atto di solidarietà col popolo oppresso” al quale voleva far sentire la propria testimonianza artistica. Diviso nei classici tre tempi, ognuno associato a un profeta, il concerto inizia con un’atmosfera solenne nel primo movimento, Grave e meditativo (Isaiah) – e qui un plauso va anche alla pregevole prova dell’arpista Elena Piva che (ed è una particolarità del concerto), nella cadenza del primo movimento, dialoga fittamente con il violino – diviene accorato nell’Espressivo e dolente (Jeremiah) fino al Fiero e impetuoso, ma sostenuto e ben marcato il ritmo (Eliah). Un concerto dalle notevoli difficoltà tecniche che ben evidenzia il tratto teatrale e brillante della musica di Castelnuovo-Tedesco, ma che ne mette in luce anche la dimensione più espressiva e dolente. Un concerto magnificamente reso da Domenico Nordio, violinista dalla tecnica solidissima ed estremamente nitida, ma mai fine a se stessa, dal fraseggio curatissimo e dal bellissimo suono che evidenzia al meglio le sfumature timbriche ed emotive della partitura. Nordio, lo si percepisce fin da subito, ama questo concerto, lo conosce profondamente e, soprattutto, si diverte a eseguirlo. Richiamato più volte dagli applausi del pubblico, il violinista concede anche un bis: l’Andante dalla Sonata n. 2 di Johann Sebastian Bach.

Infine, il viaggio musicale nel tempo ci conduce al 1883 con la Sinfonia n. 3 in Fa maggiore op. 90 di Johannes Brahms (Amburgo, 1833 Vienna, 1897), composizione che ben riflette la raggiunta maturità artistica e, soprattutto, il periodo felice della vita del compositore, all’apice della fama in quegli anni: una sinfonia che coniuga perfettamente l’economia del materiale musicale al rigore della forma e alla libertà armonica.

Un’ottima prova quella dell’Orchestra Sinfonica Verdi di Milano che dimostra di essere davvero una delle formazioni più duttili della scena musicale odierna: duttilità che ben si manifesta nel trovarsi perfettamente a proprio agio in repertori così differenti, ma anche nel restituire al meglio l’impronta di chi la guida, pur mantenendo la propria identità. Ed è una bella impronta davvero quella lasciata da Gaetano d’Espinosa, nel quale sembrano aver trovato un perfetto equilibrio il calore mediterraneo (è palermitano di nascita) e il rigore d’oltralpe (studi a Dresda): una lettura profonda e intensa della partitura, la sua, unita a un bel gesto e a una concentrazione ininterrotta dal principio alla fine. Una lettura che trova nell’amalgama del suono de laVerdi, particolarmente omogeneo nella resa degli archi, la sua espressione più felice. 
Adriana Benignetti




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