martedì 31 ottobre 2017

"Domenico Scarlatti" di Glenn Gould

Domenico Scarlatti
Napoli, 1685 – Madrid 1757 

(Foto: it.wikipedia.org)
Domenico Scarlatti

Le composizioni tastieristiche di Domenico Scarlatti non furono ovviamente pensate per il pianoforte, ma sono ben pochi i compositori che abbiano dato prova di una padronanza della tastiera altrettanto geniale: forse soltanto Liszt e Prokof’ev possono davvero rivaleggiare con Scarlatti sul terreno del massimo risultato col minimo sforzo.  Inoltre, la sagace sensibilità tattile di Scarlatti fa sì che le sue circa seicento sonate siano trasferibili agli strumenti moderni senza il minimo danno alla loro fisionomia tipicamente clavicembalistica, superando vittoriosamente anche le interpretazioni pianistiche più disinvolte e più indifferenti ai problemi di stile.


Questo, però, non è un tacito riconoscimento di un latente potenziale di Augenmusik (quel tipo di strategia secondo cui «un pezzo scritto veramente bene non lo rovina neanche un quartetto di tube», e che funziona benissimo per Bach, ad esempio), ma è piuttosto l’attestazione straordinariamente lungimirante delle risorse della tastiera. Il fatto è tanto più degno di nota in quanto le sonate di Scarlatti, pur essendo ricche di trovate brillanti, sono tutt’altro che esenti da formule risapute. Per lo più esse consistono in un unico tempo inarrestabile, presentano il rituale cambiamento binario di tonalità e, salvo poche eccezioni, nutrono i loro virtuosismi un po’ trafelati con una garrula trama a due voci che, malgrado i raddoppi di ottave e le triadi di rinforzo, consente a Scarlatti di muoversi sulla tastiera con una destrezza e un’eccentricità tecnica che non trovano confronti con i compositori dell’epoca. 

Scarlatti non sviluppa le sue idee con l’ampiezza e la verbosità che erano tipiche della sua generazione, e sembra quasi imbarazzato quando si fa cogliere con le mani su un fugato o alle prese con uno stretto in cui le imitazioni non siano ridotte all’osso. Quasi tutti gli espedienti contrappuntistici che consentirono a Bach e a Haendel di formulare i loro solenni proclami sono per Scarlatti puri e semplici intralci barocchi. Per lui i momenti migliori e musicalmente più felici sono quelli in cui è libero di lanciarsi a briglia sciolta in un susseguirsi rutilante di progressioni e di ottave, servendosi di quello che è diventato oggi un espediente comune dell’avanguardia: l’uso delle parti estreme in rapida successione; di conseguenza la sua musica contiene un quoziente di estro più elevato di quello di qualsiasi altro compositore suo pari. 

C’è, in Scarlatti, una discontinuità prevedibile, e anche se la sua opera non è memorabile nel senso convenzionale del termine e il suo fantasioso repertorio melodico non s’imprime facilmente nella memoria dell’ascoltatore l’incontenibile vivacità e la freschezza della sua musica fanno sì che qualsiasi gruppo di brani scelto fra quelle seicento sonate sia una ricetta garantita di godimento musicale.

(Glenn Gould, L’ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica, a cura di Tim Page, con una presentazione di Mario Bortolotto, Adelphi Edizioni, Milano 1988, pp. 41-42)


Glenn Herbert Gould
Toronto, 1932 – Toronto, 1982 
(Foto: last.fm)
Adriana Benignetti