mercoledì 2 marzo 2016

Freddy Kempf per “Serate Musicali”

Lunedì 7 marzo alle ore 21.00, il pianista sarà protagonista di un concerto per la Stagione Concertistica di “Serate Musicali” presso il Conservatorio “G. Verdi”. In programma musiche di Beethoven, Chopin e Sousa/Horowitz

Inglese, classe 1977, un debutto a otto anni con la Royal Philharmonic Orchestra, la vittoria, nel 1992, del Concorso della BBC come “Giovane Musicista dell’Anno”  e, nel 1998, il Terzo Premio al “Concorso Čajkovskij,   (che gli ha permesso di intraprendere una carriera internazionale), Freddy Kempf sarà il protagonista del prossimo appuntamento della Stagione Concertistica 2015/2016 di “Serate Musicali”, in programma lunedì 7 marzo alle ore 21.00, presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano. 

Nel concerto del 7 marzo, Kempf eseguirà musiche di Beethoven, Chopin e Sousa/Horowitz.

Concerto di lunedì 7 marzo ore 21.00
Sala Verdi del Conservatorio “G. Verdi” di Milano
Via Conservatorio 12, Milano

Pianista Freddy Kempf

Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)
Sonata in re maggiore n. 15 op. 28 “Pastorale”
Allegro; Andante; Scherzo. Allegro vivace; Rondò. Allegro ma non troppo

Fryderyk Chopin (1810 – 1849)
Polonaise in do minore op. 40 n° 2
Polonaise in fa diesis minore op. 44
Sonata in si minore n° 3 op. 58
Allegro maestoso; Scherzo. Molto vivace; Largo; Finale. Presto, non tanto

John Philip Sousa (1854 – 1932) / Vladimir Horowitz (1903 – 1989)
Stars and Stripes forever

Biglietti: Intero € 20,00 - Ridotto € 15,00

Presentando questo volantino potrai avere un biglietto a prezzo scontato: adulti € 10; bambini e ragazzi fino a 25 anni € 5

Il programma (tratto dal libretto di sala)
Ludwig van Beethoven - Sonata in re maggiore n.15 op.28 “Pastorale”
Sotto il profilo formale, rispetto alle Sonate immediatamente precedenti, la Sonata op. 28 sembra rappresentare un passo indietro, verso il modello monumentale della Sonata da concerto in quattro movimenti, che aveva interessato Beethoven soprattutto nelle sue prime Sonate. Così l'op. 28 comprende una forma-sonata, un tempo lento, uno Scherzo, un Rondò. Altrove sono invece le novità. Non a caso questa Sonata - pubblicata dal Bureau d'arts et d'industrie nell'agosto 1802 - è nota con il soprannome di Pastorale, apocrifo ma attribuitole già in una edizione del 1805. Superfluo osservare che nessun rapporto ha lo spartito con la omonima Sinfonia del 1808, se non per il fatto che entrambe le pagine fanno uso di alcuni stilemi impiegati per evocare una musica pastorale - codificati da una lunga tradizione che affonda le proprie radici in Corelli, Scarlatti, Händel - in particolare, per la Sonata, quelli riecheggianti il suono delle cornamuse, con un cosiddetto "pedale armonico" e le suddivisioni ternarie del tempo. È proprio questo aspetto arcadico, contemplativo, volto a smussare i contrasti, che attribuisce una coerenza forte a questo mirabile brano. Manca infatti nell'op. 28 quel forte contrasto tematico che altrove si faceva espressione del conflitto etico dell'autore; il contenuto espressivo è invece di ispirazione lirica e intimistica. Già l'Allegro iniziale mira allo stemperamento della dialettica, con la lunga sinuosità della frase iniziale, il soffice effetto timbrico del pedale armonico ribattuto; il discorso non procede secondo una logica oppositiva e i vari elementi tematici scivolano dolcemente l'uno dentro l'altro, tanto che lo stesso secondo tema non viene enunciato con chiarezza. L'unico vero contrasto del movimento si trova nella sezione dello sviluppo, con il serrato scambio dei ruoli di guida e accompagnamento delle due mani. Nell'Andante - pagina di grande densità meditativa, prediletta, sembra, dall'autore anche negli anni della maturità - Beethoven ritorna a un tipo di scrittura che già aveva sperimentato nell'op. 2 n. 2, con il basso staccato che sorregge i fermi accordi della melodia; si tratta di una scrittura che porta alla definizione di un timbro pianistico del tutto peculiare, poiché le note staccate del basso mettono in azione tutti gli armonici dello strumento; da qui nascono il particolare alone che circoscrive la melodia accordale e la concentrazione espressiva di questo tempo; al risultato altissimo della pagina contribuiscono l'episodio "sereno" e diversivo in maggiore, con le garbate "cascate" della mano destra, e la ripresa del tema, variata con soffusi ricami melodici. Segue un brillante ed epigrammatico Scherzo, attraversato da un Trio che allude agli echi di strumenti campestri. Ed è soprattutto nel finale che si affermano gli stilemi "pastorali", con un refrain segnato da un bordone (effetto armonico di accompagnamento in cui una nota viene suonata in modo continuo per creare atmosfere arcaiche o rustiche - ndr.); tutto il movimento si svolge così in una medesima ambientazione idilliaca, suggellata da una coda vorticosa ed incisiva, nella quale si distingue chiaramente il bordone. Ma c'è di più; a ben guardare il tema di questo finale è una trasformazione di quello che aveva aperto l'intera Sonata, che delinea così con assoluta chiarezza la sua arcata costruttiva e la sua coerenza espressiva.

Fryderyk Chopin - Polonaise in do minore op. 40 n. 2
Composte fra il 1838 e il 1839, le due Polacche vennero pubblicate come op. 40, con dedica all'amico Julian Fontana, nel dicembre del 1840 da Breitkopf & Härtel a Lipsia e da Troupenas a Parigi e poi, nel novembre del 1841, da Wessel a Londra. Meno celebre ed eseguita, ma non per questo meno affascinante, la Polacca in do minore op. 40 n. 2 è una pagina assai più ricca di contrasti e sfumature espressive rispetto alla precedente. Iniziata anch'essa nell'autunno del 1838, fu elaborata però soprattutto nel 1839, durante lo sciagurato soggiorno del compositore a Maiorca in compagnia di George Sand. Qui il tipico ritmo di Polacca viene come messo fra parentesi, la regolarità dei periodi di otto battute si va sfaldando, la struttura si fa meno regolare e più variegata, le armonie si fanno cangianti, cresce anche l'attenzione riservata al timbro e la cupa e tragica maestosità dell'episodio di apertura (nel quale Chopin, forse inconsciamente, richiama un tema ascoltato da ragazzo a Varsavia in occasione dell'incoronazione di Alessandro I di Russia a re di Polonia, quello della Polacca detta "L'incoronazione" di Karol Kurpinski) viene stemperata da momenti attraversati da intensa nostalgia e sconsolata mestizia.

Fryderyk Chopin - Polonaise in fa diesis minore op. 44
La Polacca in fa diesis minore è un'opera sperimentale che nasce nel 1841, anno in cui Chopin andava ricercando per le sue composizioni nuove soluzioni formali che raggiungeranno la loro espressione più alta nella Fantasia in fa minore op. 49. Per un musicista dotato di un così «eccelso senso della forma» (davvero Nietzsche ha compreso quello che a tanti paludati esegeti è sempre sfuggito) un simile fermento non poteva passare inosservato: per questo nella lettera in cui informava l'amico Fontana di voler proporre all'editore viennese Mechetti questa Polacca, quasi faticando a riconoscerla come tale, la definisce «una sorta di Polacca che è piuttosto una Fantasia»; già il giorno dopo, però, nello scrivere a Mechetti, aveva invertito i termini della questione: «è una specie di Fantasia in forma di Polacca che chiamerò Polacca», e come Polacca op. 44 infatti fu pubblicata nel novembre di quello stesso anno da Mechetti a Vienna e da Schlesinger a Parigi e nel gennaio del 1842 da Wessel a Londra, con dedica alla principessa di Beauveau. Le novità più evidenti che lasciavano perplesso Chopin fra quelle da lui introdotte nella Polacca in fa diesis minore erano l'aggiunta al modello base (Introduzione-Polacca-Trio-Polacca-Coda) di una nuova parte collocata prima del Trio e l'utilizzo di una Mazurka come Trio (cosa che in realtà era già stata tentata una volta da Kurpinski). Annunciata da otto teatrali battute di introduzione, la Polacca (Moderato) si presenta drammatica e fieramente maestosa; dopo una settantina di battute, inizia una nuova sezione dal carattere ostinatamente ritmico, all'interno della quale ricompare per un attimo un tema della Polacca, seguita dall'ampio Trio (Doppio movimento), un delicato Tempo di mazurka dal tono malinconico. Alcune geniali battute di transizione portano alla ripresa della Polacca, in una forma più essenziale rispetto alla prima volta, e poi a una breve coda dove la Polacca va sommessamente spegnendosi fino al pianissimo, che viene interrotto bruscamente dall'improvviso fortissimo dell'accordo conclusivo.

Fryderyk Chopin - Sonata in si minore n. 3 op.58
Non è difficile determinare l’anno di nascita della Sonata op. 58. «Non ho più scritto nulla, dalla vostra partenza» scrive Chopin al cognato e alla sorella, nell’agosto '45. Ma una settimana prima del Natale ‘44 la Sonata era già stata offerta sia a Schlesinger che a Breitkopf. Dunque il periodo si riduce tra inizio settembre e il 28 novembre. Dedicata all’allieva contessa de Perthuis, moglie dell’aiutante di campo di Luigi Filippo, la Sonata ebbe grandi riconoscimenti. Schumann la lodò e Kalkbrenner il terribile gli chiese addirittura di insegnarla a suo figlio. Ma non basta. Le parrucche sapienti del Conservatorio di Parigi ne proposero il I Movimento come pezzo imposto per la loro sezione femminile. Ma ciò nel 1848. Poi la stessa Sonata fu bersaglio di altre parrucche e parrucconi e ne seppe qualcosa il nostro Alfredo Casella che nel 1896 aveva 12 anni e voleva iscriversi al Conservatorio di Parigi. Allo scopo aveva dunque preparata questa immensa e meravigliosa ultima Sonata di Chopin, ma il saggio suo maestro Diémer (Louis), d’imperio gliela fece sostituire, per qualcosa di «meno arido» (tra Mendelssohn, Bach e Sgambati). Per non dir degli strali del teorico e terribilissimo V. D'Indy. Ma l’op. 58 ha tutt’altra classicità di forme comparata alla precedente op. 35 (la «Funebre»). Si direbbe che Chopin avesse avuto fretta di concludere l’op. 35. Tanto che il Finale ne risultò telegrafico: quel «borbottio tra 2 voci» all’unisono. Altra fatica, altro il lavoro prestato per fornire la sua III Sonata di un vero Finale. Di fronte alla precedente Sonata «funebre» (fondata su 2 soli veri Tempi), alla III non manca alcuno dei 4 Tempi. Ma qui lo stesso Liszt obietta che l’op. 58 è più costruita che ispirata (e certo pensava alla «Funebre», che proprio nel suo instabile equilibrio, nel suo intuirsi autobiografia dell’incompiuto, nei finali messaggi al vento e al silenzio, si rivela più carica di fato). Delle tre Sonate (1828, 1839, 1844), a parte la prima opera giovanile, l’op. 4 e in parte scolastica, le altre due, op. 35 e op. 58, appaiono come due monumenti graniticamente contrapposti. Scritta poco avanti la rottura con la Sand, la Sonata op. 58, in si minore, non pare in questo senso affatto biografia, anzi una reazione imprevista al destino e alla malattia imminente e progressiva. Sembra un progetto affermativo, ne tradisce un «cupio dissolvi», in alcuno dei suoi Tempi e neppure nel Finale, che non rifiuta nemmeno il virtuosismo ad hoc: joie de jouer, joie de vivre. Il primo tempo, (Allegro maestoso, in 4/4), crogiolo, o miniera di Temi, sovrasta tutti gli altri. L’incipit è orchestrale, la riesposizione del Tema di inizio è omessa; così l’interesse è spostato sul secondo tema, trasposto in si maggiore. Lo Scherzo (Molto vivace, in 3/4) è in mi bemolle, non ha il carattere demoniaco dello Scherzo dell’op.35. Meravigliosamente fluido, anzi liquido, ha il Trio in si; modello di scrittura à la Chopin, potrebbe fare da pezzo imposto, per un concorso di virtuosismo poetico. Il Finale (quasi Rondò), dà alibi a molti d’esser considerato alla stregua di una pagina «politica», a glorificazione della Patria. Andrebbe dunque ad allinearsi alle grandi Polacche «politiche» e in ispecie alla Coda della Polacca op. 61. Uno degli elementi «di prova» sarebbero le otto fatali battute di apertura, marziali, a mo’ d’Introduzione. «Presto, non tanto» è indicazione forse sibillina, se si considera la velocità un fatto anti-matematico, come la Poesia, o la Verità, in ogni caso più vicina all’illusionismo che alle cifre. Qui poi è in gioco la sacra Maestà della Polonia. Il II Tema ne è uno dei fondamenti e il secondo, con la vertigine dei suoi arabeschi, ha molte e grandi libertà, ma non quella di «smentire l’Eroe».

John Philip Sousa/ Vladimir Horowitz - Stars and Stripes forever
Mentre nell'Europa romantica l'introduzione di una melodia popolare significava solitamente citare una musica di autore e origine ignoto, negli Stati Uniti significa attribuire a essa un periodo, un autore ben precisi. L'intero patrimonio popolare e tradizionale americano diventa nutrimento essenziale della musica statunitense: tradizione, folk, pop, jazz sono gli ingredienti comuni a qualsiasi forma di sperimentazione dalla fine dell'ottocento a oggi. Dalla “rivoluzione” popolare di John Philip Sousa, che ha insegnato l'arte di un'orchestra libera da quel sinfonismo tutto europeo fondato sugli archi, passando per qualsiasi altro musicista del ‘900, non c'è mai stata una divisione (anche culturale) tra la banda e l'orchestra che anzi, talvolta, perfino “giocano” insieme. John Philip Sousa è nato a Washington D.C. nel 1854 ed è morto in Pennsylvania nel 1932. Già violinista nell’Orchestra di J. Offenbach in tournèe negli USA (1876/77), dal 1880 al 1892 diresse la Banda della Marina americana; compì poi tours in tutto il mondo con una formazione propria. Fu detto “The March King”; scrisse oltre 136 Marce, numerose Operette, musica sinfonica e centinaia di pezzi per banda. Stars and Stripes forever (Stelle e strisce), l’inno degli Stati Uniti, è sicuramente la Marcia più famosa al mondo. Originariamente il testo, che tutti gli Americani conoscono, è stato scritto da Sousa, benché alcune frasi siano poi state aggiunte successivamente. Il suono delle percussioni e degli ottoni ogni anno fa balzare in piedi e applaudire milioni di persone. PR

Nato a Londra nel 1977, Freddy Kempf ha debuttato a otto anni con la Royal Philharmonic Orchestra, con cui ha tuttora uno stretto legame e con cui ha suonato e diretto il ciclo completo dei Concerti per pianoforte di Beethoven, in 11 concerti nei più importanti teatri del Regno Unito. Molti altri concerti con questa orchestra sono previsti per il futuro, anche al di fuori del Regno Unito. Nel 1992 ha vinto il Concorso della BBC come “Giovane Musicista dell’Anno” ma fu il suo Terzo Premio al “Concorso Čajkovskij” nel 1998 a lanciarlo a livello internazionale. Il fatto che non gli fosse stato assegnato il Primo Premio infatti suscitò le proteste del pubblico ed ebbe ampio spazio sulla stampa russa, che lo proclamò “eroe del Concorso”. Da allora la sua carriera è andata crescendo fino ai suoi recenti successi con la Royal Philharmonic Orchestra come solista e direttore, con la Filarmonica di San Pietroburgo e l’Orchestra Sinfonica della Corea. La scorsa stagione Kempf ha più volte suonato e diretto con la Kyusyu Symphony Orchestra in Giappone e con l’Orchestra Sinfonia della Nuova Zelanda. È poi tornato a suonare con City of Birmingham Symphony Orchestra, Royal Philharmonic, Filarmonica di Dresda e Royal Northern Sinfonia. Tra direttori con cui ha suonato ricordiamo: Sir Colin Davis, Sanderling, Gatti, Bämert, Dutoit, Petrenko, Chailly, Temirkanov, Herbig, Bolton, Sawallisch, Ashkenazy, Belohlavek, Jaarvi, Krivine, Dausgaard e Jurowski. In recital ha suonato nella Sala Grande del Conservatorio Ciaikowski di Mosca, al Konzerthaus di Berlino, Conservatorio di Milano, Cadogan Hall e South Bank di Londra, Suntory Hall di Tokyo etc... Nel 2010 Kempf ha partecipato alla registrazione del nuovo lavoro di Tolga Kashif "Genesis Symphony" con la London Symphony Orchestra e ha inciso i Concerti per pianoforte n.2 e n.3 di Prokofiev con la Bergen Philharmonic Orchestra e Andrew Litton, cd entrato tra i finalisti del "Gramophone Concerto Award". Questa collaborazione è proseguita con una registrazione di opere per pianoforte e orchestra di Gershwin nel 2012 e prevede il completamento dell'intero ciclo di Concerti per pianoforte di Prokofiev. Le sue incisioni per pianoforte solo sono state dedicate nel 2011 a Rachmaninov, Bach/Busoni, Ravel, Stravinsky e recentemente a Robert Schumann. Scoperto per l’Italia da Serate Musicali, ne è ospite in ogni stagione a partire dal 1998.

Adriana Benignetti