giovedì 7 febbraio 2013

Incontro ravvicinato con… Petra Conti

«Credo che, se tutto quello che c’è di buono e bello in Italia venisse valutato realmente e paragonato a quello che cè nel resto del mondo, l’arte di questo Paese raggiungerebbe i primi posti a livello internazionale»


Petra Conti (©Brescia-Amisano)

Una mamma e una sorella ballerine: danzare è stata una scelta naturale o in qualche modo suggerita? Suggerita dal DNA in modo assolutamente naturale! Sono stata influenzata da questo mondo fin da bambina, ma ne ho preso coscienza con il tempo e da sola. Così come, in totale e piena autonomia, ho chiesto ai miei genitori di studiare danza.


Quando hai capito che la danza sarebbe diventata la tua vita? Non è stato un colpo di fulmine ma una vocazione: un processo spontaneo e graduale, attraverso il quale ho capito che danzare era quello che volevo fare nella mia vita.



Petra Conti in Giselle (©Brescia-Amisano)
Tua madre è polacca e tuo padre italiano: quanto e in che misura hanno influito queste due differenti culture nella tua crescita? Per me è sempre stato un grande vantaggio crescere influenzata da due culture  differenti e l’essere bilingue dalla nascita mi ha facilitato anche durante gli anni di scuola: in più, quando sono stata a San Pietroburgo, grazie alla conoscenza del polacco, ho imparato facilmente anche il russo. Senza accorgermene, le due culture, quella italiana e quella polacca, si sono fuse in me rendendomi quasi un ibrido, libero da stereotipi e preconcetti, da mentalità tipiche di un Paese, dandomi, invece, la possibilità di adattarmi facilmente a nuovi ambienti e a nuove culture. Forse è anche per questo che mi sento uno spirito libero, che sta bene in ogni luogo e non rimpiange il focolare domestico, che adora viaggiare, scoprire nuovi paesaggi, lingue, cibi e culture.

Diventare prima ballerina di un teatro prestigioso come la Scala a soli 23 anni è un grande onore e una bella soddisfazione ma comporta anche enormi responsabilità: cos’è cambiato nelle tua vita da quel momento? È sicuramente cambiato l’approccio al mio lavoro: ora, concentrandomi solamente sui ruoli principali, mi sembra davvero di lavorare per me stessa. È un continuo arricchimento, una continua crescita come ballerina e come persona: di produzione in produzione posso confrontarmi faccia a faccia con i coreografi, i maestri e gli ospiti che lavorano con me in sala ballo. Il peso della responsabilità che comporta la mia posizione equivale alla soddisfazione di godere di questi privilegi.

Petra Conti in Excelsior (©Damir Yusupov)
Prima di entrare in scena c’è più adrenalina o paura? L’adrenalina c’è sempre: senza di essa credo che nessun artista riuscirebbe ad affrontare la scena. La paura, invece, è qualcosa di paralizzante e non è un bene. In genere, io non vedo l'ora di uscire sul palco per dare finalmente sfogo alle emozioni e allo stress che ho accumulato dietro le quinte.

Ti sei diplomata all’Accademia Nazionale di Danza di Roma: come hai vissuto quegli anni? Sono stati sicuramente gli anni più impegnativi della mia vita: la mattina a scuola, il pomeriggio, spesso fino a tardi, a danza. L’intera giornata passata negli edifici dell’Accademia e la notte, dietro la scrivania, a fare i compiti. In quel periodo ho studiato molto e non mi sono concessa distrazioni: volevo fare del mio meglio ed ero consapevole del fatto che se avessi seminato bene, avrei poi raccolto buoni frutti in futuro.

Petra Conti in Raymonda (©Brescia-Amisano)

Per un anno ti sei perfezionata al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo: cosa ti è rimasto di quell’esperienza? È stato l’anno che mi ha fatto capire veramente “come si fa la danza”! Un’esperienza più unica che rara per potermi confrontare giornalmente con alcuni dei più grandi mostri sacri del balletto, vivere le loro giornate in teatro, assistere a tutti gli spettacoli in Cartellone, avere una maître (Elvira Tarasova) tutta per me, per lavorare sui principali ruoli del repertorio. In compagnia sono nate amicizie molto importanti e che durano ancora: gli altri ballerini mi chiamavano l’“italianka” e mi hanno fatto sentire, fin da subito, una di loro. Ho amato la città, le persone, l’atmosfera: vivere lì mi ha arricchito non solo come ballerina ma anche come persona.

Perché, secondo te, la danza in Italia non è seguita e considerata come in altri Paesi? Penso per disinformazione e purtroppo per poca cultura della danza. Se vai in Russia e dici che sei una ballerina, la gente ti guarda subito con stima e considerazione, ti venera già solo per il fatto che sei un'artista: lì i teatri sono pieni tutti i giorni e tra il pubblico ci sono tutte le classi sociali. È come se ci fosse quell'entusiasmo e quel tifo che in Italia si vede solo in uno stadio durante una partita di calcio.

Per un anno hai vissuto anche a Monaco di Baviera, facendo parte della compagnia del “Bavarian State Ballet”: quell’esperienza, però, non è stata, per te, totalmente positiva. Perché? È stato un anno difficile per me ma, allo stesso tempo, anche importante perché quest’esperienza mi ha fatto crescere e maturare molto: sono stata a lungo ferma per via di un infortunio e ho ballato poco. Non sarei rimasta comunque a lungo lì: nonostante la compagnia fosse giovane e brillante, mi deprimeva il fatto che le opportunità per i giovani erano veramente poche.

Come vedi il futuro culturale dell’Italia? Il problema generale dell’Italia, secondo me, sta nel fatto che gli italiani sono, molto spesso, esterofili e, purtroppo, un po' in tutte le forme di arte e in tutte le discipline, non solo nel ballo. È per questo che molti artisti sono “costretti” ad andare oltre confine per avere un po' di notorietà, riconoscimenti, gratifiche economiche ed eventualmente poi tornare già a carriera fatta. Spesso non si riconosce e non si valorizza  chi cerca di lavorare in Italia e far fruttare la sua arte “in casa”. Credo che, se tutto quello che c’è di buono e bello in Italia venisse valutato realmente e paragonato a quello che c'è nel resto del mondo, l’arte di questo Paese raggiungerebbe i primi posti a livello internazionale.   

Il direttore del Corpo di Ballo della Scala, Makhar Vaziev, sta puntando moltissimo sui giovani, dando la possibilità a molti ballerini di esibirsi in ruoli di rilievo. Com’è vissuta quest’opportunità dal Corpo di Ballo? Con l’arrivo del direttore Makhar Vaziev sono stata una delle prime “giovani” a essere lanciata in ruoli importanti: all’inizio non è stato facilissimo. Ora, però, dopo che molti tra i più giovani hanno avuto e stanno avendo grandi opportunità, penso che l’atmosfera sia cambiata e che questa ondata di rinnovamento abbia coinvolto tutti, anche i più “grandi”,  giovando all’equilibrio dell’intero Corpo di Ballo. 

Giselle [Qui un video del balletto girato durante la tournée in Brasile, n.d.r.] è un ruolo al quale sei molto legata, anche perché è stato quello del tuo debutto in Scala. C’è un altro ruolo che ami particolarmente? Adoro i ruoli drammatici: oltre a Giselle mi sono “innamorata” anche di Marguerite (in Marguerite et Armand), di Tatjana (in Onegin) e di Juliette (in Roméo et Juliette). Tutti i ruoli dove ci scappa una lacrima!


Petra Conti e Ivan Vasiliev in prova 
durante Notre-Dame de Paris  Rudy Amisano)
Petra Conti e Massimo Murru in prova durante Notre-Dame de Paris  (©Rudy Amisano)
C’è, invece, un ruolo che non hai ancora danzato e che sogni d’interpretare? In questi giorni, sto lavorando sul ruolo di Esmeralda, protagonista femminile di Notre-Dame de Paris, con la coreografia Roland Petit. È un ruolo che mi affascina molto, anche perché diverso dalla mia personalità: non vedo l’ora di portarlo in scena! 

Recentemente sei stata Juliette in “Roméo et Juliette” di Sasha Waltz: quanto è stato difficile per te confrontarti con il linguaggio contemporaneo della Waltz?
Poter lavorare con Sasha Waltz ha rappresentato, per me, un’esperienza molto importante: ho fatto un lavoro lungo e profondo, soprattutto sul contatto dei corpi, sul disequilibrio, sull’espressione del movimento nella scenografia. Abituata alle punte, mi sono dovuta adattare a eseguire un intero balletto a piedi nudi, percependo in maniera del tutto nuova il contatto con il suolo. Questo linguaggio parte da una "sensazione naturale" e, proprio per questo, è stato più facile, per me, interpretare Juliette con molta naturalezza e spontaneità in scena, usando i movimenti della Waltz – che sono spogliati da qualsiasi artificio di stile e ridotti all’essenziale – per risaltare le sfumature emozionali del mio personaggio.

Petra Conti in Notre-Dame de Paris (©Brescia-Amisano)


Ci sono molti luoghi comuni sul mondo della danza, tra i quali alcuni negativi, ad esempio l’anoressia o l’invidia tra le ballerine (tema che il film Blck Swan ha evidenziato fino all’esasperazione). Quanto c’è di vero?
L'anoressia tra le ballerine professioniste è davvero rara perché, quando si lavora tanto, lo stress fisico è pari a quello di uno sportivo a livello agonistico: proprio per questo c’è bisogno di mangiare per reintegrare l’energia. Non si riuscirebbe, altrimenti, a reggere più di una giornata di lavoro. Molto spesso la fisionomia esile viene confusa con l’anoressia: in realtà, le ballerine sono magre ma hanno una muscolatura forte e tonica. L’invidia, invece, purtroppo esiste: tra i ballerini è presente un’eterna competizione ma essendo la danza un’arte, non è giudicabile con punteggi e per questo anche la bravura viene valutata in maniera soggettiva.

Quali sono le doti necessarie per diventare ballerini professionisti?
Come diceva sempre il maestro Prebil Zarko, per intraprendere questa carriera sono necessarie qualità psico-fisiche: io aggiungo anche tanta forza di volontà, determinazione e un po’ di follia.

Cosa si potrebbe fare per avvicinare nuovo pubblico alla danza?
Sarebbe importante rendere gli spettatori più partecipi del nostro lavoro quotidiano, magari facendo riprese di backstage, di prove in sala, o svolgendo approfondimenti sullo studio che ogni artista fa sul ruolo che deve interpretare: ci vorrebbero, inoltre, più programmi in tv sui balletti, più spettacoli per un pubblico eterogeneo e una maggiore informazione sulla danza in generale.


Petra Conti ed Eris Nezha in Marguerite et Armand 
(©Brescia-Amisano)
Anche il tuo compagno Eris Nezha è primo ballerino del Teatro alla Scala: quanto è importante condividere la stessa passione e gli stessi sacrifici?
È davvero bello essere coppia nella vita e nella danza: lavorare insieme è un grande aiuto, uno stimolo quotidiano e un punto fermo che dà sicurezza. Ed è anche tutto più facile in due perché ci sosteniamo a vicenda e impariamo l’uno dall’altro: anche a casa , dopo le prove, ci consigliamo e, insieme, approfondiamo il lavoro sui personaggi. Conosciamo a memoria i dolori, le debolezze e i punti forti dell’uno e dell’altro. Inoltre, siamo veramente noi stessi quando interpretiamo un passo a due d’amore!

Adriana Benignetti


N.B. Tutte le foto sono di proprietà esclusiva del Teatro alla Scala di Milano e non possono essere utilizzate senza autorizzazione