martedì 11 settembre 2012

Incontro ravvicinato con... Massimiliano Volpini

«Per me la parte più bella del mestiere di coreografo sta nel percorso creativo, nel vedere non tanto il lavoro finito, in scena, quanto le piccole meraviglie quotidiane, in sala ballo»


Com’è nata, in te, la passione per la danza?
Per caso … Le mie due sorelle studiavano danza e io andavo sempre a prenderle con mia madre a lezione: in quella scuola c’erano anche molti ballerini maschi e, incoraggiato anche da questo, mi son fatto convincere dal maestro a iniziare. Nel giro di pochi mesi sono stato totalmente conquistato dalla danza!
Quando hai capito che sarebbe diventata una “cosa seria”?
A 16 anni ho iniziato ad avere i primi impegni professionali; mentre studiavo facevo spettacoli con una piccola compagnia e da lì ho capito che la danza sarebbe diventata la mia professione.



Come ballerino hai lavorato con il Balletto di Venezia, il Balletto di Roma, il Comunale di Firenze, l'Arena di Verona, l'Opera e la televisione di stato di Lijubliana. Quale esperienza ricordi con maggiore piacere?
A Venezia ho passato gli anni più belli: era la mia prima esperienza fuori casa, facevamo spettacoli in tutta Italia, ballavo cose che mi piacevano molto. E, poi, c’era Venezia a fare da sfondo!

Nel 1991, a 21 anni, sei entrato a far parte del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala: un amore che dura ancora …
21 anni di matrimonio con la Scala sono proprio tanti. Ovviamente, in questo lungo lasso di tempo c’è dentro tutto: momenti felici e momenti difficili, periodi di stanchezza, aspettative tradite ma anche bellissime sorprese e l’incontro con tanti grandi artisti. Ora sono in una fase molto tranquilla: tra gli uomini sono il più anziano della compagnia. In pratica, sono il vecchio leone che osserva molto e parla poco e che tutti lasciano in pace.


Pochi anni dopo hai iniziato a lavorare anche come coreografo: se dovessi spiegare a chi non è del settore questa bellissima professione che parole useresti?
Il coreografo è un compositore che usa i passi di danza invece delle note e ha, come strumenti, i corpi dei ballerini. Ma il coreografo è anche un regista che deve saper utilizzare lo spazio scenico, uno sceneggiatore in grado di “raccontare”. È tante cose insieme: ci vogliono molte qualità per realizzare un balletto che funzioni sotto tutti i punti di vista.

C’è un tuo lavoro al quale sei particolarmente legato?
Sono poco attaccato al passato quindi gli ultimi lavori sono quelli che mi piacciono di più, quelli in cui mi riconosco maggiormente. Gli ultimi due spettacoli che ho realizzato, Family Zapping e My name is Nobody, pur essendo molto diversi tra loro, rispecchiano la mia poetica attuale: li considero lavori maturi. In entrambi i casi ho vissuto esperienze bellissime e dense, con molte emozioni condivise con i miei danzatori. Per me la parte più bella del mestiere di coreografo sta nel percorso creativo, nel vedere non tanto il lavoro finito, in scena, quanto le piccole meraviglie quotidiane, in sala ballo.



Da dove trai ispirazione per le tue coreografie?
Fondamentalmente ci sono due tipi di ispirazione: quella più immediata, illuminante, dove il balletto si materializza nella mente in maniera quasi completa, con tutte le sensazioni che dovrà raccontare. In genere quest’ispirazione nasce dall’ascolto di una musica che mi piace.  Il secondo tipo è più cerebrale, trae spunto da un libro o da una tematica che voglio affrontare: il percorso è meno istintivo, si lavora su carta e si costruisce la struttura pezzo per pezzo. Family Zapping nasce dal primo tipo di ispirazione, My name is Nobody dal secondo.

Nel 2001 hai iniziato una collaborazione con Roberto Bolle: come nasce questo sodalizio?
Roberto ha studiato in Scala ed è entrato in compagnia giovanissimo. Come si dice in questi casi: l’ho visto nascere. C’è un’amicizia che dura da tempo: è stato abbastanza naturale lavorare insieme.

La danza classica è ancora vista da molti come un mondo rigido e un po’ snob: cosa si dovrebbe fare, secondo te, per abbattere le distanze?
Ultimamente le distanze si sono molto ridotte grazie proprio a personaggi come Roberto – che abbiamo visto in Tv in tante situazioni buffe come ad esempio con Fiorello – ma anche grazie a certi reality che mostrano il “dietro le quinte” del nostro lavoro. Anche se in Tv è comunque tutta finzione, il pubblico ha la sensazione di aver superato certe barriere nei confronti di un ambiente come il nostro.

Moltissimi sono i luoghi comuni intorno al balletto (anoressia, omosessualità, rivalità tra ètoile sono i più noti): ce n’è qualcuno che ti dà particolarmente fastidio?
Tutti questi luoghi comuni mi danno fastidio perché, fondamentalmente, nessuno conosce il nostro lavoro, non sanno come passiamo le giornate, come si costruisce uno spettacolo. Dalle domande che mi fanno capisco che non hanno la minima idea di cosa voglia dire fare il ballerino: però, i luoghi comuni sopravvivono lo stesso. Purtroppo anche i film sulla danza (che, per carità, vanno benissimo e più ce ne sono meglio è), descrivono la nostra vita in maniera sempre troppo stereotipata. La realtà è diversa perché fatta anche di routine: le giornate sono a volte noiose e banali e le persone non pensano solo alla carriera, ma anche ai figli, alla casa, alle vacanze ...



Nel 2010 hai creato la coreografia per il videoclip della canzone Ricomincio da qui, cantata da Malika Ayane e danzata da Sabrina Brazzo, prima ballerina del Teatro alla Scala e, di recente, hai girato un divertentissimo video con Roberto Bolle e altri ballerini della Scala sulle note di una canzone di Giorgia. Hai un approccio diverso nell’ideare una coreografia per musica non classica?
Più che la musica, la differenza la fa il contesto. Un bravo coreografo deve saper capire il contesto generale in cui si sta muovendo. Un videoclip non è un balletto, bisogna mettersi al servizio del regista e tentare di capire la sua visione d’insieme: a volte la coreografia è un po’ sacrificata, ma tentare di imporsi per far vedere quanto si è bravi porta solo a pessimi risultati. Per il video di Malika sia io che Sabrina siamo entrati in un mondo che non era il nostro, ci siamo messi in gioco e ci siamo divertiti moltissimo. Nel caso del videoclip “clandestino” sulla canzone di Giorgia, si è trattato di un vero delirio non organizzato, nato per scherzo e messo su in un pomeriggio: solo per miracolo siamo riusciti a tirare fuori una cosa carina. Nessuno si aspettava un tale successo!

Cos’è Family Zapping?
Family Zapping è uno spettacolo dedicato alla famiglia e alle questioni relazionali all’interno di essa, il tutto affrontato con ironia e leggerezza; mi sono ispirato  soprattutto ai meccanismi della commedia dell’arte. Raccoglie tutto il mio mondo: il mio linguaggio artistico è espresso nella sua completezza. È uno spettacolo a cui tengo molto.


Ballare a 40 anni passati è …
… Una grande fatica! I fisici non sono tutti uguali: alcuni a 40 anni sono elastici e forti come quelli di un ventenne. In genere, però, a quest’età si pagano gli errori di gioventù e ognuno di noi ha la sua croce: le ginocchia, la schiena, le caviglie, le anche. Io sono particolarmente “acciaccato” e a quest’età fatico un po’. Oggi considero la coreografia la mia principale attività quindi trascuro i miei dolori fisici per dedicarmi al piacere di vedere bravi ballerini eseguire le mie coreografie.
 
Da dove nasce l’idea di creare un sito interamente dedicato alla danza (Balletto.net)?
Balletto.net è nato per gioco, nei camerini della Scala: con i miei amici e colleghi Andrea Piermattei e Andrea Boi abbiamo cominciato a costruire un sito web molto semplice con pochi articoli e alcune interviste. Un po’ alla volta il sito è cresciuto sempre più, divenendo un portale gigantesco, con una Community di oltre 18.000 utenti e un forum con più di 300mila messaggi.

Quale balletto consiglieresti di vedere per primo a chi si vuole avvicinare a questo magnifico mondo?
Sicuramente le opere del ‘900 e degli anni 2000 sono più vicine al nostro gusto attuale, hanno anche un ritmo più adeguato alla nostra epoca; eviterei, invece, l’avanguardia più spinta perché di difficile comprensione. Per buttare giù qualche nome direi: i grandi balletti di Roland Petit (“Carmen”, “Notre Dame”); “Petite Mort” e “Bella Figura” di Kylian, il “Romeo e Giulietta” di Preljocaj; “Giselle” e “Bella Addormentata” in versione Mats Ek.

Come vedi il futuro del balletto in Italia?
La danza in Italia è in una situazione paradossale: i fondi statali diminuiscono sempre più, chiudono i festival, i corpi di ballo degli Enti Lirici sono tutti in sofferenza e le piccole compagnie faticano a sopravvivere. Eppure, allo stesso tempo, la danza sta vivendo una fase di grande popolarità: ci sono migliaia di scuole e di allievi, il pubblico riempie le grandi arene (Roberto Bolle con il suo Gala ha fatto registrare, all’Arena di Verona, il record di pubblico di tutta la stagione). C’è un potenziale enorme ma mancano gli spazi, manca la giusta cultura che permetta al pubblico di distinguere gli spettacoli di qualità. Si dovrebbero creare spazi dove giovani coreografi possano esprimere il loro talento, sperimentare, confrontarsi. In Italia ci sono molte realtà positive, ma sono tutte piccole isole, ognuna chiusa nel proprio giro di relazioni, senza la possibilità di un vero confronto. Oggi lo Stato non ha più soldi da investire nell’arte: si dovrebbe ricorrere al mecenatismo, cominciando col fare leggi che permettono la totale defiscalizzazione delle donazioni. Il sistema americano, ad esempio, funziona molto bene: i privati che investono in una compagnia o in un teatro si sentono coinvolti nel progetto artistico e, soprattutto, vedono dove vanno a finire i loro soldi. Il finanziamento statale è fondamentale ma, così com’è, non è in grado di premiare la qualità né tantomeno di far nascere nuovo fermento artistico. Io, però, sono ottimista e sicuro che il nostro Paese vivrà altre stagioni d’oro. Spero soltanto che questo avvenga entro il secolo in corso!

Adriana Benignetti

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