giovedì 2 marzo 2017

"La donna del lago": la trama


(Foto: internetculturale.it)

La donna del lago
Melodramma in due atti

Musica
Gioachino Rossini (Pesaro, 29 febbraio 1792 – Passy, Parigi,  13 novembre 1868)

Libretto
Andrea Leone Tottola (Napoli, seconda metà del XVIII secolo – Napoli, 1831) dal poema The Lady of the Lake (1810) di Walter Scott

Prima rappresentazione
Napoli, Teatro San Carlo, 24 ottobre 1819

PERSONAGGI

Giacomo V, re di Scozia, sotto il nome di Uberto di Snowdon (tenore)
Douglas D’Angus (basso)
Rodrigo di Dhu (tenore)
Elena (soprano)
Malcom Groeme (alto)
Albina (soprano)
Serano (tenore)
Bertram (tenore)

Pastori e pastorelle scozzesi, bardi, grandi e dame scozzesi, guerrieri del clan alpino, cacciatori, guardie reali

Ambientazione: Scozia, prima metà del XVI secolo

Joyce DiDonato, O mattutini albori, Atto I 
(video caricato da in data 12/giu/2010)



ARGOMENTO

Atto I
È l’alba e, sulle sponde del lago, pastori e pastorelle cantano, mentre si appresta no al lavoro dei campi: da lontano squillano i corni dei cacciatori che, nella foresta, sono all’inseguimento delle prede. Elena – la donna del lago – è sulla sua barca e canta l’amore per Malcom Groeme, lontano, ma sempre nei suoi pensieri. Dalla rocca di Benledi la osserva il re di Scozia, Giacomo V, incuriosito dalle descrizioni sulla bellezza della donna: è arrivato fin lì, sotto le mentite spoglie di Uberto di Snowdon, per incontrarla. Dopo averle raccontato di aver smarrito i compagni, è ospitato da Elena nella sua dimora, mentre i cacciatori lo cercano inutilmente. Giunti a casa della donna, Uberto scopre di essere in pericolo, trovandosi nella dimora di un suo grande nemico, Douglas D’Angus, il nobile che ha abbandonato la corte del re per schierarsi con i ribelli: apprende anche che Elena, sua figlia, è stata promessa in sposa, contro la sua volontà, a Rodrigo per sancire un'alleanza volta a liberare la Scozia dal dominio del re. Nel frattempo, arrivano le compagne di Elena che le ricordano l’amore di Rodrigo – suo futuro sposo – provocano la gelosia di Uberto: dalle risposte della giovane egli comprende, però, che la donna non è innamorata del suo futuro sposo ed è indotto a sperare nell’amore della donna. Controvoglia, Uberto, conscio del pericolo, è costretto ad allontanarsi dalla dimora e a raggiungere i cacciatori: Albina lo traghetterà sull'altra sponda del lago.


Quando tutti hanno abbandonato la dimora, arriva Malcom, partito dalla reggia per seguire le orme di Elena e unirsi al Clan Alpino – che ricorda i felici momenti trascorsi con l’amata. Sopraggiunge anche Serano e, poco dopo, con suo padre Douglas: questi annuncia alla figlia il prossimo arrivo di Rodrigo e le imminenti nozze. Partito Duglas, Malcom – che, non visto, ha assistito alla precedente scena – incontra Elena: i due giovani si giurano amore eterno.

Nella vicina pianura i guerrieri del Clan Alpino festeggiano l’arrivo di Rodrigo: anche  Elena, accompagnata da un seguito di donzelle e preceduta dal padre, è accolta da lieti canti che contrastano con il suo angoscioso stato d’animo. Giunge anche Malcolm, alla testa dei suoi guerrieri, con i suoi seguaci; quando i due innamorati si scorgono, il loro turbamento li tradisce con grande ira di Douglas e di Rodrigo. Serano annuncia, però, l’imminente arrivo dei soldati del re Giacomo V e il pericolo unisce tutti spronandoli alla battaglia.

Atto II
L'inizio della battaglia è ormai vicino, ma Uberto in cerca di Elena, della quale è ormai perdutamente innamorato, canta il suo amore. Elena che si è nascosta in una grotta con Albina e Serano, manda quest'ultimo ad avere notizie del padre: rimasta da sola è raggiunta da Uberto che  le dichiara il suo amore. La donna confessa, però, di essere innamorata di Malcolm, lasciandolo senza speranza. Prima di partire, Uberto le consegna un anello avuto in dono dal re di Scozia, che le sarà utile: in caso di pericolo, infatti, mostrandolo al re potrà ricevere la grazia. Alla scena ha assistito, di nascosto Rodrigo che, roso dalla gelosia, chiama i suoi guerrieri ordina loro di uccidere lo sconosciuto traditore. Elena, slanciandosi in difesa di Uberto, riesce a placare l’ira dei soldati. Rodrigo decide, allora, di battersi personalmente con Uberto. I due sfidanti si allontanano, mentre Elena tenta inutilmente di placare gli animi infuriati. A sua volta Malcolm che, nel frattempo, ha abbandonato la sanguinosa battaglia tra il Clan Alpino e le truppe di Giacomo V, per andare in cerca di Elena, arriva alla grotta dove incontra Albina. Serano, giunto subito dopo, lo informa che la giovane si è diretta alla reggia per seguire il padre recatosi lì per mplorare dal re la pace generale. Infine, sopraggiungono alcuni guerrieri con la notizia che Rodrigo è stato ucciso e il re ha vinto. Disperato Malcolm parte con i guerrieri. Duglas, presentatosi al re nella reggia di Stirling, implora, in virtù del rapporto che un tempo li legava, la grazia per la figlia e per il suo popolo. Giacomo V, ostentando un severo rigore, congeda l’anziano precettore. Elena, giunta da poco nella reggia e ammessa nelle stanze regie grazie all’anello donatole da Uberto, riconosce i luoghi dove trascorse la sua prima giovinezza e si promette di intercedere per salvare la vita del padre, di Malcom, e di Rodrigo, da lei creduto ancora vivo. Dalle stanze attigue ella ode con sorpresa la voce di Uberto che in una dolce canzone celebra il suo amore per lei: fiduciosa, gli corre incontro. Elena cerca invano di avvicinarsi al re ma ben presto il mistero si scopre: Giacomo V altri non è che Uberto di Snowdon. Egli concede il perdono al vecchio precettore Duglas, restituendogli l’antica dignità, e al prode Malcom. Elena, al colmo della gioia, abbraccia il padre e l’amante, mentre i presenti acclamano la pace ritrovata.

Per il libretto completo:
Hanno detto su La donna del lago
Non tutti sanno che Rossini ha scritto più opere serie che buffe. E alle “serie” appartiene anche La donna del lago, pur con qualche distinguo degli esperti. Senz’altro i tre cuori che palpitano per la malinconica fanciulla tra le verdi valli della Scozia profumano già di romanticismo, ma si tratta comunque di un’ “opera seria” in piena regola, di quelle in cui lo spettatore si deve dimenticare il tempo che scorre lento lento e abbandonarsi alla meraviglia del belcanto, nota per nota, gustandole tutte ad una ad una: vocalizzi pacati per amori soavi, giacché in Rossini gli ardori sono spesso contenuti e i sentimenti delicati e cullanti. E romantico sarebbe pure lo sfondo di guerra fra fazioni rivali; anche se nel 1819, a pochi anni dalle campagne napoleoniche, fanfare in scena e grandiosi cori guerreschi erano di gran moda. Romantica è infine la natura, con le sue selve intricate, querce secolari, cascate, squilli di corni da caccia en plein air. Il “librettese” del testo non aiuta la comprensione dell’intreccio, per altro non difficile se ci si applica: meglio comunque abbandonarsi al concerto di belcanto, tanto si capisce subito se a lamentarsi è un innamorato geloso o un innamorato e basta della “silvestre dea”, certamente bellissima chiamandosi Elena. Di chi sia veramente innamorata l’emotiva vergine lacustre è una questione che sarebbe tutta da approfondire: non sempre si sposa chi si ama, e la musica, se non è troppo reticente, lo dovrebbe suggerire a orecchie acute. Sappiamo inoltre che il librettista dell’opera Andrea Leone Tottola cercò di accrescere il clima misterioso dell’ambientazione nordica traendo spunti dai Canti di Ossian e andando quindi oltre Walter Scott in termini di primitivismo poetico. Gli storiografi segnalano che Rossini si applicò al lavoro, accumulando tremendi ritardi, pungolato dalla fretta dell’impresario Domenico Barbaja, al quale il musicista aveva estorto condizioni favorevolissime per la collaborazione col Teatro San Carlo di Napoli, come quella di avere una percentuale sui proventi della casa da gioco annessa al teatro stesso. (Barbaja aveva inventato e introdotto nei teatri la “rolletta”, da cui deriverà la roulette). Per accelerare la consegna Rossini si fece persino aiutare da un altro musicista e i musicologi si sono dati da fare per isolare qualche piccola parte in sospetto di falso. L’opera era stata scritta per il leggendario soprano spagnolo Isabella Colbran, che diverrà moglie di Rossini nel 1822, tre anni dopo la prima de La donna del lago, ma che già allora intratteneva con lui rapporti non solo professionali. La Colbran, più anziana del musicista di sette anni, era al culmine della carriera e portò l’opera a un trionfo consolidato poi per decenni. Lo spettacolo del regista Lluis Pasqual, già visto a Parigi, è di ambientazione neoclassica, con colonne e capitelli, e l’aggiornamento all’età di Rossini – quella della Restaurazione - e magari anche un po’ dopo, continua negli abiti del coro, che ha l’aspetto del pubblico elegante. Le fitte boscaglie, l’immoto specchio d’acqua e gli sconfinati spazi sono splendidamente dipinti e i paesaggi propriamente detti accompagnano i paesaggi musicali di Rossini, punteggiati di ‘crescendo’, ritmi galoppanti, gorgheggi e do di petto.
(Franco Pulcini, Paesaggio romantico con belcanto, teatroallascala.org)


È giustamente celebre il passo di una lettera di Giacomo Leopardi al fratello Carlo, spedita da Roma a Recanati nel 1823. Siamo durante il periodo di carnevale. Nel «natio borgo selvaggio» sono in corso alcune rappresentazioni della Cenerentola di Rossini che impressionano il conte Carlo Leopardi fino alle lacrime. Dalla città papale gli risponde il fratello: «Mi congratulo con te dell’impressioni e delle lagrime che t’ha causato la musica di Rossini, ma tu hai torto di credere che a noi non tocchi niente di simile. Abbiamo in Argentina [al Teatro Argentina] la Donna del lago, la qual musica eseguita da voci sorprendenti è una cosa stupenda, e potrei piangere anch’io, se il dono delle lagrime non mi fosse stato sospeso». L’opera che fece (quasi) piangere il più grande poeta del romanticismo italiano era andata in scena per la prima volta a Napoli nel 1819 proponendo un soggetto a più di un titolo sorprendente. Col librettista Andrea Leone Tottola, Rossini aveva infatti messo in musica il poema The Lady of the Lake che Walter Scott aveva pubblicato nel 1810 e che non era ancora stato tradotto in italiano (nel 1813 era però uscita una traduzione francese). In tale opera Scott anticipa molti degli elementi che faranno parte dei suoi famosi romanzi storici come la cura dell’ambientazione e l’individuazione della couleur locale, una pratica fondamentale per la definizione dell’estetica romantica, non solo letteraria ma anche musicale. La storia si svolge nella Scozia che i cosiddetti Poems of Ossian avevano reso celebre in tutta Europa. La tradizione ossianica (in Italia filtrata dalle traduzioni di Melchiorre Cesarotti) costituisce la fervida humus di cui si nutrono tanto il poema di Scott quanto l’opera di Rossini. Non a caso Stendhal scrisse nella sua celebre Vita di Rossini che La donna del lago «è un’opera epica più che drammatica». Il punto apicale di questo afflato epico è costituito dall’inno dei bardi («Già un raggio forier») inserito nel Finale I, dopo il concertato (nel cosiddetto “tempo di mezzo”), e accompagnato dall’ossianica arpa, viole, pizzicato dei violoncelli e un unico contrabbasso. Se si prendono tutti i grandi finali interni delle opere italiane di Rossini dal Tancredi (1813) alla Semiramide (1822), ci si accorge che essi adottano solo due impianti tonali: o in Re maggiore (come appunto Tancredi, ma anche Cenerentola, ecc.), o in Do maggiore (Semiramide, ma anche Barbiere, ecc.). L’unico finale in una tonalità diversa (Mi bem. maggiore) è proprio quello della Donna del lago. È questo un fatto da mettersi in relazione col significato drammatico che tale tonalità acquisirebbe nella partitura di Rossini? D’altra parte il carattere eccezionale di questa opera non si limita al piano tonale del Finale I. Basti pensare al potenziamento drammaturgico della “banda sul palco”, che non svolge solo una funzione “paesaggistica” (contribuendo alla creazione del “colore ossianico”), ma diventa un vero e proprio mezzo architettonico e strutturale per riconcepire musicalmente l’actio scenica. Significativa, a questo proposito, la fanfara dei cacciatori costituita da sei corni sul palcoscenico (ripartiti in tre gruppi) che già all’inizio dell’opera riorganizzano lo spazio rappresentativo ed evocano lontananze misteriose, forse minacciose (come i rulli di tamburo militare che aprono la sinfonia della Gazza ladra). Questo sul versante della spazializzazione. Ma anche sul versante temporale, della memoria interna, Rossini si rivela un drammaturgo dirompente. Al processo di potenziamento della “musica in scena” va ascritto infatti anche l’uso di un motivo ricorrente di carattere popolare, una canzone su ritmo di barcarola intonata per la prima volta da Elena (la “donna del lago”): «Oh mattutini albori». Questo motivo, che ritornerà più volte – a mo’ di fil rouge – nel corso dell’opera, diventa alla fine della rappresentazione una vera e propria dramatis persona, capace di innescare lo scioglimento e il riconoscimento tra Elena e il re di Scozia. Si tratta di un procedimento, questo della canzone di scena che diventa un motivo ricorrente, lanciato nella drammaturgia musicale europea da un’opera che andrebbe meglio conosciuta: il Richard Coeur de Lion di Grétry (1784). Il legame tra presenza sonora e meccanismo agnitivo è ulteriormente consolidato dal fatto che la melodia («Qual dolce suon», dice Elena) ci giunge ancora una volta da dietro le quinte, da uno spazio invisibile e misterioso. La voce che l’intona è quella di colui che Elena ancora ignora essere il re. La canzone-barcarola, in apparenza così semplice e suggestiva, si incarica di esprimere la natura di una relazione – quella tra Elena e Uberto/Giacomo re di Scozia – che è in realtà ben più complessa e profonda di quella tra Elena e Malcom, il suo futuro sposo.
(Emilio Sala, L’opera in breve, teatroallascala.org)

Adriana Benignetti